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21-11-2015
Il Consiglio di Stato ha recentemente risolto (sentenza n. 5230 del 17-11-15) alcune questione di una certa rilevanza in tema di mediazione e precisamente (i) se sia o meno legittimo porre a carico delle parti che attivano una mediazione nei casi in cui un preliminare incontro informativo in merito alla stessa è previsto come condizione di procedibilità per l’instaurazione di un giudizio (c.d. “mediazione obbligatoria”), l’onere di corrispondere all’organismo adito delle somme a titolo di “spese d’avvio” (oggi 80 o 40 euro + iva, a seconda che il valore della controversia superi o no i 250'000 euro, oltre a spese vive); e (ii) se gli obblighi di formazione ed aggiornamento oggi previsti in tema di mediazione (un corso base inziale di almeno 50 ore seguito da 18 ore di aggiornamento biennali e 20 tirocini) siano applicabili anche agli avvocati visto che questi sono qualificati nell’ordinamento italiano come “mediatori di diritto” (art. 16, 4-bis del d. lgsl. 28/2010).
Entrambi gli obblighi sono previsti nel regolamento attuativo del citato decreto 28/2010, adottato dal Min. Giustizia con d.m. 180/2010 (come successivamente modificato), rispettivamente agli articoli 16(2) e 18(2) lett. f) e g).
La questione, relativamente ad entrambe le questioni, era stata oggetto ad inizio anno di una sentenza del TAR del Lazio (sent. n. 1351 del 23-1-15) ed il responso era stato in entrambi i casi negativo.
Quanto alle spese di avvio, secondo il TAR, queste non erano dovute considerato quanto previsto all’art. 17 (5-ter) del decreto 28/2010 e cioè che “Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Quanto alla formazione degli avvocati, sempre ad avviso del TAR, era decisivo il fatto che gli stessi fossero stati qualificati come “mediatori di diritto” (art. 16 (4-ter) del decreto 28/2010) e che avessero, come categoria professionale, propri percorsi formativi che non potevano non comprendere anche la mediazione.
La decisione in tema di spese di avvio aveva creato notevoli difficoltà agli organismi di gestione delle procedure di mediazione (che sono il canale obbligato attraverso il quale queste debbono passare, sempre che si svolgano nell’ambito del decreto 28/2010). Dover gestire gratuitamente, infatti, la fase di c.d. intake è risultato a molti di questi organismi un intollerabile onere che comprimeva ulteriormente lo scarso margine già caratterizzante in generale il mercato dell’offerta di servizi di mediazione in Italia, ed acutizzava le disparità di trattamento concorrenziale fra organismi privati e organismi pubblici.
Nei fatti, molti organismi (sia pubblici che privati) hanno continuato a richiedere la corresponsione di tali spese e non pare che ciò abbia limitato il numero delle richieste da parte dell’utenza (che anzi è mostra un trend di crescita). Evidentemente la misura contenuta di tali spese di avvio è parsa in molti casi giustificata agli stessi soggetti che potevano reclamare per contro la gratuità dei servizi richiesti (sostanzialmente, un organismo, quando riceve una domanda di mediazione deve attivarsi prontamente fissando una data per il primo incontro delle parti ed identificando il mediatore idoneo secondo il proprio regolamento. È un lavoro si cancelleria che richiede il suo tempo e l’intervento di addetti preparati anche a rispondere alle domande di chiarimento che frequentemente vengono loro rivolte da coloro che sono invitati a partecipare alla mediazione).
Con sentenza depositata il 17-11-15 il Consiglio di Stato ha riformato l’infelice decisione del TAR Lazio considerando che la normativa attuale sconta una certa ambiguità ma che il ‘compenso’ cui si riferisce l’art. 17 (5-ter) del decreto 28/2010 non può che riferirsi alle indennità a carico delle parti se la mediazione effettivamente si tiene.
Quanto alla formazione per gli avvocati, il C. Stato evidenzia come una cosa sia la formazione destinata ai mediatore (anche a mente di quanto stabilito dall’art. 4(2) della direttiva comunitaria sulla mediazione, la 2008/52/CE) e ben altra quella tipica per legali, concludendo che questi ultimi non possono sottrarsi alla prima per il solo fatto di essere avvocati. Il fatto di essere qualificati come “mediatori di diritto” non esime quindi da una formazione specifica, considerato anche che lo stesso art. 16 (4-ter) del decreto 28/2010 la contempla.
È comunque curioso – ed indice a nostro parer di grande mancanza di esperienza sul campo - che il Consiglio di Stato colga l’occasione per puntualizzare che a differenza di quanto sostenuto dalle difese dell’amministrazione, non vi sarebbe a suo avviso alcuna diversità culturale fra atteggiamento richiesto ad un avvocato ed atteggiamento richiesto ad un mediatore.
La decisione travolge quanto stabilito dal CNF in un comunicato del 21-2-14 che stabiliva il percorso formativo differenziato per gli iscritti all’albo, notevolmente più contenuto di quello stabilito per i non-avvocati: 15 ore di base, almeno 2 tirocini e 8 ore di aggiornamento biennale.
Il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del TAR laddove questa giudicava manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla mediazione ‘obbligatoria’ considerando che, a seguito di modifiche apportate al decreto 28/2010 nel 2013, da un lato era stata prevista l’assistenza legale obbligatoria e dall’altro l’obbligatorietà era circoscritta alla sola partecipazione all’incontro informativo sopra citato (e non all’intera mediazione).