Quadra opera dal 2003 come provider privato ADR (Alternative Dispute Resolution)
per la gestione e mediazione delle controversie e dei conflitti civili e commerciali
Quadra amministra procedure di mediazione, arbitrato ed expertise
e promuove la diffusione della cultura ADR svolgendo formazione di alto livello
3 settembre 2013
La legge di conversione del decreto 69/2013 (c.d. del “fare”) – in sede di emanazione – ha apportato modifiche alla normativa in tema di mediazione (fondata come noto sul d. lgsl. 28/2010).
Nella sua formulazione originaria, il decreto 69/2013 si limitava essenzialmente a rimediare alla dichiarata incostituzionalità per eccesso di delega (C. Cost sent. 272/12) introducendo alcune misure giudicate opportune alla luce dell’esperienza fatta nei mesi di vigore di detta normativa prima della citata decisione. La legge di conversione è andata oltre, molto concedendo alle richieste della lobby degli organismi dirigenti della classe forense. Quel che ne è uscito è da un lato una versione un po’ depotenziata del meccanismo che prevede l’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità nell’azione giudiziaria (le cause soggette a tale condizione non ricomprendono più come in passato quelle relative ai danni da circolazione di veicoli e natanti), dall’altro una mediazione ancor più che in passato modellata sul paradigma giudiziario, con conseguente erosione dei suoi caratteri distintivi.
Vediamo in dettaglio.
1) La definizione di mediazione è stata modificata in sede di conversione (il decreto 69/2013) nulla prevedeva al riguardo). Se il d. lgsl. 28/10 (all’art. 1.1) leggeva:
“a) mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”,
ora la norma, nella formulazione finale divenuta legge così stabilisce:
“a) mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa ».
COMMENTO: La modifica è probabilmente volta a prevedere l’ipotesi di ‘proposta’ che chiaramente rimanda ad un atteggiamento valutativo del mediatore, come meramente eventuale e non più posta sullo stesso piano della modalità considerata normale (quella ‘facilitativa’). L’intento non è di per sé malvagio, ma il legislatore ha mostrato ancora una volta di ignorare sia il fatto che l’approccio valutativo è considerato da molte parti screditato, sia che quello facilitativo non si esaurisce nella mera ricerca di un accordo. Molti mediatori considerano infatti che un approccio orientato alla ricerca di un accordo si traduca spesso in pratica manipolative e preferiscono (come nel caso dell’approccio trasformativo) concepire la loro mission nel supporto alle parti affinché queste possano elaborare decisioni consapevoli (che possono o no prevedere un accordo) per il superamento del conflitto che le oppone. Stante la latitudine interpretativa della norma, appare scontato che i mediatori trasformativi o comunque coloro che adottano un modello di supporto non settlement-oriented (e tanto meno valutativo) possano comunque continuare ad operare in linea con le indicazioni di legge. È stata pertanto persa l’occasione di riformulare una definizione più avanzata del fenomeno ‘mediazione’ e di sgombrare il campo da dubbi e interpretazioni che possono condurre a cattive pratiche.
2) È stato introdotto un criterio di competenza territoriale per la scelta dell’organismo di mediazione cui adire.
Il d. lgsl. 28/10 nulla prevede al riguardo. Nella relazione illustrativa (commento all’art. 4), veniva anzi dato conto del fatto che la fissazione di criteri selettivi basati sulla territorialità (sulla scorta di quelli vigenti in tema di identificazione dell’ufficio giudiziario) avrebbe creato “un’impropria giurisdizionalizzazione della sequenza che avrebbe alimentato contrasti e imposto criteri per la risoluzione dei conflitti”.
In sede di conversione (il decreto 69/2013) nulla prevedeva al riguardo) viene previsto invece che .
“all’articolo 4, il comma 1 è sostituito dal seguente: “1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza”.
COMMENTO: L’impostazione originaria adottata nel d. lgsl. 28/10 è stata chiaramente sconfessata, in ossequio ad un’istanza fatta propria dal CNF. Temiamo che le preoccupazioni espresse nella Relazione Illustrativa possano concretizzarsi e non vediamo per contro alcun vantaggio. È da considerare che la maggiore obiezione a suo tempo fatta all’impostazione del d. lgsl. 28/10 consisteva nel pericolo che una parte fosse ad arte chiamata avanti ad un organismo logisticamente scomodo, provandosi esposta alle conseguenze previste dalla legge in caso di non partecipazione. Di fatto non si ha notizia di casi simili.
3) Mediazione c.d. obbligatoria reintrodotta, con modifiche.
Il decreto 69/2013 ha reintrodotto, come sopra indicato, l’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità per le stesse tipologie di controversie giudiziarie già previste dall’art. 5 del d. lgsl. 28/10, con due modifiche: (i) l’aggiunta dell’aggettivo ‘sanitaria’ a quello ‘medica’ e (ii) l’eliminazione delle cause per risarcimento di danni da circolazione di veicoli e natanti. In sede di conversione è stato poi fissato il limite di 4 anni per la vigenza di tale obbligatorietà, con una verifica mid-term. Il nuovo testo dell’art. 5 oggi così recita:
“1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione”. […]
COMMENTO: L’esclusione delle cause relative alla circolazione di veicoli e natanti costituisce un clamorosa atto di resa alle istanze di quella parte dell’avvocatura dei profitti derivanti da tali cause pretende di vivere. Anche in un’ottica di realpolitik, il giudizio su tale esclusine non può essere che negativo. Il Parlamento ha ancora una volta sacrificato gli interessi generali degli utenti del sistema giustizia a quelli di una casta non estranea alle inefficienze che caratterizza no il sistema. L’introduzione del periodo di test quadriennale non è da leggersi di per sé come negativo. Costituisce peraltro un problema il fatto che (i) la legge taccia del tutto quanto ai parametri che verranno utilizzati per verificare il successo o meno dell’iniziativa (temo che ci si dovrà grettamente accontentare solo di quelli numeri, relativi al numero della cause giunte avanti al giudice, senza poter considerare alcun dato qualitativo che possa misurare il gradimento della mediazione presso l’utenza); inoltre, (ii) una volta introdotto un termine temporale come quello in oggetto non si capisce perché l’esperimento di mediazione sia stato preso in considerazione come causa d’improcedibilità solo per una limitata serie di cause e non per tutte le cause.
4) Resa obbligatoria la presenza degli avvocati di parte.
Nella configurazione originaria, il d. lgsl. 28/10 non prevedeva alcuna presenza obbligatoria degli avvocati di parte. In sede di conversione (il decreto 69/2013 nulla prevedeva al riguardo) è invece stato introdotto il principio contrario (art. 8.1 del rivisitato d. lgsl. 28/10): Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato.
Il ruolo dei legali di parte è poi reso ulteriormente attivo dell’inciso che segue, sempre nel corpo del citato art. 8.1 (“Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”) nonché da quanto stabilito nel nuovo art. 12.1 (“Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. In tutti gli altri casi l’accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico”).
COMMENTO: La previsione della presenza obbligatoria dei legali di parte è il secondo clamoroso esempio della resa del Parlamento agli interessi della relativa lobby. La norma pone prima di tutto problemi di compatibilità con la direttiva 52/2008 UE che non ne fa menzione (e dal cui definizione di mediazione – art. 3, lett. A) – anzi, si ricava che le parti sono le sole titolari del procedimento). In secondo luogo, l’obbligo imperativo che caratterizza la norma di cui all’art. 8 indurrebbe a ritenere una mediazione che si svolga, anche solo in parte, senza che una qualsiasi delle parti chiamate sia assistita da legale, viziata da invalidità (almeno ai sensi del d. lgsl. 28/10). La relativa sanzione è inespressa, ma si potrebbe immagine possa essere l’insuscettibilità a godere dei benefici ivi previsti. Il punto è che dall’art. 12 si ricava abbastanza agevolmente che la presenza dei legali di parti è solo eventuale e che ben le parti possono farne a meno senza che ciò infici la validità dell’eventuale accordo transattivo (soggetto a scrutinio di legittimità da parte del presidente del tribunale).
Comunque sia, la previsione dell’art. 8 cozza contro il buon senso: si costringe una parte ad avvalersi dell’assistenza di un legale anche contro la sua volontà, sopportandone i relativi costi. Ancora, ha prevalso l’interesse di una lobby professionale contro quello della generali degli utenti del sistema.
5) Gli avvocati hanno un percorso privilegiato nella loro qualificazione come mediatori.
Il decreto 69/2013 aveva concesso alla categoria degli avvocati un privilegio consistente nel percorso di qualificazione come mediatore, oggi disciplinato dal d.m. 180/10: l’esenzione da ogni formazione ed esame di idoneità. Il che era stabilito con una modifica all’art. 16 del d. lgsl. 28/10 cui veniva seccamente aggiunto un comma 4-bis del seguente tenore: “Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”. In sede di conversione, la previsione è stata attenuata. Il citato comma resta, ma ora recita: “4-bis. Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense. Dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
COMMENTO: La versione del 4-bis, come divenuta legge, svuota di molto la previsione del testo originario del decreto 69/2013. Resta da vedere se il Ministero stabilirà un percorso speciale per gli avvocati, in sede di modifica al d.m. 180/10. Resta un problema concettuale di fondo: l’idea che l’esercizio dell’attività di mediatore non richieda il possesso di una professionalità specifica e che comunque sia, la stessa può ben esser ancillare a quella legale. Il che è vero solo per una particolare modalità di approccio: quella del mediatore valutativo.
6) Strutturazione degli incontri.
Il decreto 69/2013, nella sua originaria versione, aveva introdotto una novità rispetto a quanto previsto nel d. lgsl. 28/10: il primo incontro di programmazione. Si stabiliva che l’organismo, una volta ricevuta la domanda di attivazione di una procedura fissasse prima di tutto (art. 8.1) “un primo incontro di programmazione, in cui il mediatore verifica con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione, non oltre trenta giorni dal deposito della domanda”, e prevedendo (art. 17, comma 5-bis) che: “Quando, all’esito del primo incontro di programmazione con il mediatore, il procedimento si conclude con un mancato accordo, l’importo massimo complessivo delle indennità di mediazione per ciascuna parte, comprensivo delle spese di avvio del procedimento, è di 80 euro, per le liti di valore sino a 1.000 euro; di 120 euro, per le liti di valore sino a 10.000 euro; di 200 euro, per le liti di valore sino a 50.000 euro; di 250 euro, per le liti di valore superiore”.
In sede di conversione, la previsione di cui all’art. 8 è stata eliminata (tornando al sistema in vigore, con la sola estensione del termine di 15 a 30 giorni) e quella di cui all’art. 17 è stata generalizzata come segue: “5-ter. Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
COMMENTO: La previsione di un incontro-filtro, era apprezzabile in quanto tutto sommato un buon bilanciamento fra le esigenze contrapposte di sanzionare la mancata partecipazione alla mediazione e di rispettare l’eventuale volontà contraria delle parti. Con un esborso minimo (sarebbe anche potuto esser gratuito, invero) le parti era indotte a iniziare il procedimento senza esser costrette a subirlo, se non lo gradivano. Con le modifiche apportare in sede di conversione, le cose non cambiano di molto in pratica. È stata solo resa gratuita la prestazione del mediatore in prima seduta (a meno che le parti non trovino un accordo (il che di regola non avviene). Ciò che appare criticabile è il fatto di far dipendere dal raggiungimento o meno di un accordo, il pagamento della prestazione. Nella pratica, è da attendersi che nessun mediatore si avventurerà, in sede di primo incontro – proprio a causa della norma di cui all’art. 17, 5-bis – nel rendere i suoi servizi come mediatore. Si limiterà ad una (veloce) verifica preliminare della situazione e nell’illustrazione della procedura. Il che era quanto prevedeva il testo originale del decreto.
Va poi menzionata la modifica all’art. 2643 c.c., che risolve uno dei problemi dibattuti nel periodo di vigenza dell’art. 28/10: quello della trascrivibilità degli accordi ricognitivi di usucapione d’immobili. L’art. 84-bis del decreto ora divenuto legge stabilisce che
All’articolo 2643 del codice civile, dopo il numero 12) è inserito il seguente: «12-bis) gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato ».
COMMENTO: La previsione è benvenuta perché vale a chiarire una situazione che ave va dato luogo a prassi difformi da parte dei Conservatori.
Da ultimo, sempre in tema di ADR, va ricordata la riforma relativa alla ‘conciliazione’ tentata dal giudice, istituto già presente nel c.p.c. ma che si intendeva rinforzare con l’introduzione di un art. 185-bis. L’art. 77 (titolato “Conciliazione giudiziale”) del decreto 69/2013 così leggeva:
“1. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo l’articolo 185 è inserito il seguente: «185-bis. (Proposta di conciliazione del giudice) – Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, deve formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio.»;
b) all’articolo 420, primo comma, primo periodo, dopo la parola «transattiva» sono aggiunte le parole «o conciliativa»; allo stesso comma, secondo periodo, dopo la parola «transattiva» sono aggiunte le parole «o conciliativa».
In sede di conversione, il testo del nuovo art. 185-bis è così stato modificato:
«Art. 185-bis. (Proposta di conciliazione del giudice) – Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice»;
COMMENTO: La modifica operata in sede di conversione è positiva, ma insufficiente. Abbiamo già sottolineato quanto sia pericolosa la commistione fra funzioni decisorie e conciliative in capo allo stesso soggetto (come ancora invece si continua a fare ex 420 c.p.c. in sede di lavoro). A nostro avviso dovrebbe essere vietato al giudice di operare come conciliatore (chiaramente di tipo valutativo). Il giudizio non deve esser la sede di transazioni non generatesi dalla libera volontà delle parti interessate. Ogni esigenza di smaltimento del carico giudiziario deve esser subordinata al superiore interesse delle parti di veder la loro causa decisa senza compromessi. All’evidenza, il legislatore dovrebbe cercare di ovviare alle deficienze del sistema per altra via.
A cura di Carlo Mosca | Docente Quadra