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10/10/2019

Ancora sugli obblighi di formazione continua dei mediatori

Avevamo affrontato la situazione qui, qualche anno fa (v. qui e qui)

Facciamo il punto ad oggi:


1) La normativa di riferimento in materia è quella posta in due disposizioni:

  • l’art. 4.3(b) del d.m. 180/2010 (nella formulazione introdotta nel luglio 2011 dal d.m. 145/2011), il quale, nel fissare i requisiti per l’iscrizione al registro degli organismi di mediazione tenuto dal Ministero di Giustizia, precisa che nei riguardi dei mediatori iscritti presso ciascuno di questi dev’essere accertato “il possesso, da parte dei mediatori, di una specifica formazione [cioè il corso di almeno 50 ore previsto al successivo art. 18,2(f), NdR] e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione in base all’articolo 18, nonché la partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti”.
  • l’art. 16.4bis del decreto 28/2010 (introdotto nel giugno del 2013 dal d.l. 69/2013 conv. in l. 98/2013) che prevede che “Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 55-bis del codice deontologico forense”.

In sostanza esistono due generi di mediatori: quelli che sono anche avvocati (esercenti la professione) e tutti gli altri.
Criticabile o meno, tale è stato il risultato di quel che è parso a molti il frutto di un compromesso volto a rendere accettabile alla categoria qualcosa di indigesto come la mediazione c.d. ‘obbligatoria’. Questa è stata, come noto, ripristinata, seppur in forma attenuata, nell’estate 2013 dal governo Letta, dopo un deprecabile ‘incidente di percorso’ (la C. Cost. (sent. 272) l’aveva cancellata nel dicembre del 2012 per eccesso di delega – sul punto v. qui).


2) Detta normativa è interpretata nel senso che - stante la differenza fra formazione tipica avvocati e quella richiesta ai mediatori - i primi non possono comunque dirsi esonerati da quella prevista per i secondi (C. St sent. sentenza n. 5230 del 17-11-15 che conferma TAR Lazio sent. 1351 del 23/01/2015 (non sono intervenute altre decisione successivamente).


3) Il CNF ha invece adottato un indirizzo diverso. Nella circolare n. 6-C/2014 del 21/02/2014, comunicata il 5 marzo successivo esso aveva infatti stabilito il percorso formativo per gli avvocati notevolmente più contenuto di quello stabilito per i non-avvocati: 15 ore di corso-base, almeno 2 tirocini e 8 ore di aggiornamento biennale. In ciò aveva il conforto del Ministero di Giustizia che in una Circolare interpretativa del 27/11/2013 aveva sostenuto che gli obblighi di formazione e aggiornamento per il mediatore avvocato dovevano avvenire «nell’ambito dei percorsi formativi professionali forensi, la cui organizzazione è demandata al Consiglio nazionale forense e agli Ordini circondariali” nonché “associazioni forensi e ai terzi” (successiva circolare “chiarificatrice” del 09/12/2013).
La posizione del CNF non è mutata, dopo la sentenza del C. St sopra citata. In una nota inviata il 06/06/2016 ai presidenti dei Consigli degli Ordini forensi tramite la propria Commissione ADR, il CNF ha infatti sostenuto che la circolare 6-C/2014 mantiene la sua validità.


4) Nei fatti, molti organismi (non espressione dei Consigli dell’ordine degli avvocati) richiedono al mediatori-avvocati la stessa formazione di base e continua prevista per i mediatori non avvocati.  Gli organismi espressione invece dei Consigli dell’ordine degli avvocati si sono in genere allineati alla posizione del CNF.

 

Quadra, da canto suo, pur criticando come irragionevole la formazione ‘standard’ come oggi prevista, non vede ragione di diversificare fra avvocati e non.
Quadra ritiene infatti che una diversificazione avrebbe senso solo per mediatori “valutativi”, chiamati cioè a valutare – in ottica naturalmente giuridica – le diverse posizioni delle parti coinvolte in un conflitto (sorta di arbitri, quindi, senza poteri decisori). È evidente che in tale scenario, l’avvocato può vantare un’expertise specifica che lo pone in posizione privilegiata rispetto a chi avvocato non è. Si potrebbe discutere al più se tale expertise sia appannaggio dei soli avvocati iscritti ad albo e debba piuttosto non allargata a chi ha comunque una formazione giuridica, leggi laurea in giurisprudenza; ma tant’è…
Fuori però da tale prospettiva (mediazione valutativa) appare parimenti chiaro che l’avvocato non può ad oggi vantare, in genere, alcuna formazione che lo renda soggetto da privilegiarsi rispetto a chi arriva da altre esperienze estranee al campo legale (medici, architetti, ingegneri, (in parte) commercialisti, …). Anzi, se la mediazione va intesa come “relazione d’aiuto” (come è nella mediazione mainstream di tipo “facilitativo” e, ancor di più, negli approcci non direttivi come quelli tipici della mediazione “trasformativa”) l’avvocato è in genere particolarmente assai bisognoso di formazione specifica, anche perché deve – a differenza e più di altri – deve destrutturarsi e modificare il suo consuetudinario approccio valutativo.


In conclusione, a Quadra pare che la vera questione non sia quella di stabilire irragionevoli percorsi preferenziali per i mediatori-avvocati (a meno che non si operi in ottica valutativa), quanto quella di ripensare la formazione continua di tutti i mediatori.

Come detto sopra, il sistema è oggi strutturato in modo assai criticabile: in particolare, se l’osservazione di altri mediatori in azione è ovviamente assai utile, il minimo di 20 casi a biennio pare eccessivo e comunque nei fatti costituito da mera partecipazione a mediazioni che non si tengono (i c.d. primi incontri, spesso con parti chiamate assenti). Preferibile appare limitare a 2/3 casi all’anno, con discussione e feedback al mediatore. Idem per le 18 ore formazione a biennio, spesso compattate in sessioni di 9 ore (!) al giorno e con docenti mal pagati (il costo di mercato per la partecipazione per partecipante risulta aggirarsi intorno ai €100/g e tende al basso).
In genere, si sa, la fissazione d’autorità di standards di formazione continua genera burocrazia, erogazione di servizi di bassa qualità ed ha effetti molto limitati sull’effettiva crescita professionale.
A nostro avviso, molto meglio sarebbe lasciare autonomia ai singoli organismi di richiedere ai propri mediatori la formazione che reputano opportuna, stabilendo, se si crede, dei minimi generali veramente di base. È il mercato che dovrebbe selezionare i mediatori (e gli organismi) più efficienti. Ma, si sa… siamo in Italia e le formalità tendono sempre a prevalere sulla sostanza.